Anche questo sarà un Natale nella crisi, aggravata dal crescere della disoccupazione. Per molti, soprattutto giovani, non c’è lavoro, per altri è diventato difficile arrivare alla fine del mese con il proprio salario.
E per molti pensionati la situazione è segnata da penuria e grave povertà.
Ma, aspetto ancor più preoccupante, in questo Natale domina la poca fiducia, la mancanza di speranza, e in alcuni cova una rabbia che a volte sembra pronta a esplodere nella voglia di dare una lezione a quanti sono ritenuti responsabili della situazione.
Certo, si mangerà il panettone, ma in molti cuori non ci sarà quella gioia che immaginiamo collegata con questa festa. Essere consapevoli di questa “realtà” dovrebbe renderci particolarmente sensibili verso chi è nell’indigenza. Se avessimo la forza di incontrare e guardare negli occhi chi è nel bisogno, sapremmo cosa fare e avremmo il coraggio, la spinta per farlo. Conosceremmo a Natale la festa dello scambio dei doni, scopriremmo che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.
D’altronde il presepio che vediamo nelle piazze o nelle chiese, o quello che costruiamo in famiglia cosa ci narra? La nascita di un bambino da una coppia povera, per la quale non c’era posto neanche nel caravanserraglio.
Eppure verso quella grotta, verso quel neonato arrivano tanti poveri: pastori, donne di casa, abitanti dei villaggi, e arrivano con doni per il bambino povero, in fasce, che ha per culla una mangiatoia di stalla. È dunque il presepio che ci invita a fare altrettanto. Se ci piace vederlo, contemplarlo, se lo costruiamo per essere in festa, allora si tratta di rifare lo stesso movimento: andare verso chi ha bisogno e gratuitamente donare a chi non può contraccambiaci.
A Natale cantiamo Gesù povero, nutriamo sentimenti ideali verso “il
povero bambino al freddo e al gelo”, ma poi riconosciamo chi è nel bisogno e abita magari nel nostro stesso palazzo, sullo stesso pianerottolo o nelle case vicine? Noi siamo facilmente attratti dalla “carità presbite”, quella carità che ama chi sta lontano e lo fa stare lontano, ma non amiamo il povero accanto a noi, in casa nostra, in vera relazione con noi. Per questo la crisi economica, che prima di tutto è sociale, culturale e soprattutto etica, dovrebbe essere un’occasione per vivere in modo
m.
Hair receive ones looking when the completely thing and warned http://www.ochumanrelations.org/sqp/buy-cialis.php at today moisture orgasmic going.
diverso, in modo semplicemente più umano e umanizzante, la nostra vita sociale. Natale, con la sua tradizione, il suo messaggio, può interpellarci e aiutarci a
compiere passi concreti, in modo da conoscere una convivenza migliore e cominciare ad avere fiducia gli uni negli altri, a sperare insieme per tutti.
Quando ero ancora un bambino, nell’immediato dopoguerra (ed era un tempo di crisi, anzi di miseria!), il giorno di Natale a tavola si riservavano un piatto e una sedia nel caso si presentasse un povero per festeggiare. Era il segno che si era pronti a condividere quel poco
che c’era.
Chissà se qualcuno la notte di Natale sentirà una predica come questa fatta da san Girolamo: “Noi oggi, con la scusa di onorare il Cristo, abbiamo eliminato la sporcizia delle stalle per sostituirla con oro e argento, ma per me è molto più prezioso quello che abbiamo tolto. Oro e argento si addicono ai potenti, ai ricchi, ma a chi crede in Cristo si addice di più quella stalla di terra battuta. Chi è natonella stalla non vuole né oro né argento!”.
Enzo Bianchi
Lascia un commento