«È bello con Te!»

Il tema della 52° Giornata Mondiale di le vocazioni, che oggi si celebra in tutte le comunità cristiane, è suggerito dalla enciclica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium” (nn. 167; 264): «Vocazioni e santità: toccati dalla Bellezza». L’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni della CEI, lo rilancia nello slogan: «È bello con Te!». Esso esprime la forza e la bellezza della relazione con il Signore Gesù che, toccando ogni cuore umano, continua a chiamare e a spargere con abbondanza i semi della Vocazione. La v ia della Bellezza può essere realmente un cantiere vocazionale sempre nuovo e sempre aperto, per accogliere nuovi cercatori di bellezza e di positività. «Che cos’è la bellezza, che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne?» (Papa Benedetto XVI). Gesù ha posto la sua tenda tra noi e ha donato se stesso, gratuitamente, per ogni esistenza umana. Nel fascino e nella bellezza di questo amore, oggi come duemila anni orsono,Gesù continua a ripetere: «Vieni e seguimi». «La vocazione è vivere con amore e offrire la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno; questo ci aiuta a diventare santi, ad essere un segno visibile dell’amore di Dio e della sua presenza accanto a ciascuno di noi»
(Papa Francesco).

 

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Divorzio breve, un incivile traguardo

Davvero un bel «traguardo di civiltà» l’approvazione del divorzio breve. Appena sei mesi per seppellire un matrimonio. Un anno se si decide di ricorrere al giudice, ma è facile immaginare che le separazioni giudiziali saranno sempre meno. Quando si ha l’opportunità di risolvere in tempi così rapidi la propria “storia d’amore” appassita, è inutile perdere tempo con contenziosi patrimoniali. Meglio approfittare senza perdersi in chiacchiere della comoda opportunità offerta dalla legge. Prima si decide, prima ci si toglie il pensiero. In attesa che arrivi il cosiddetto divorzio immediato, di cui a lungo si è discusso sia alla Camera che al Senato, che cancellerà qualsiasi residua lungaggine. Infine, di questo passo, sarà la volta della legge che permetterà l’addio istantaneo via sms incrociato, tutt’al più inviando contestualmente una mail all’ufficio anagrafe. Allora, il «traguardo di civiltà» sul fronte del matrimonio e della famiglia – quello evocato ieri dalla relatrice della legge, Alessandra Morani (Pd) e da non pochi altri parlamentari – sarà davvero raggiunto.

E la strategia illuminata grazie alla quale, in pochi anni, è stato smontato il diritto di famiglia, avrà compiuto la sua parabola.
Certo, a quel punto, si renderà necessaria una verifica degli obiettivi realizzati. Se pensiamo che il matrimonio – e la famiglia che da quel matrimonio sboccia – sia un reperto di archeologia sociale, un istituto ormai inadeguato per regolare il traffico impazzito delle relazioni nella nostra fluttuante, capricciosa e scivolosa postmodernità d’occidente, è giusto provvedere alla sua rapida liquidazione. Non avremo altro da fare che procedere a passi spediti sulla strada intrapresa. Lo Stato, come brillantemente sta facendo, si preoccupi di dare rilievo solo agli “affetti”, prosegua nel ribadire la sua estraneità alle reali dinamiche sociali della vita di coppia e mostri rinnovato disinteresse – come finora ha egregiamente fatto – per quelle che sono in difficoltà. Agevoli il più possibile – e anche in questo caso la rotta è quella “giusta” – l’azzeramento delle coppie che si arrendono di fronte alle difficoltà di una struttura sociale che sembra congegnata apposta per rendere impossibile la vita familiare.

Così, rottamato il matrimonio, avremo un’agile e dinamica società di unioni usa e getta, rapporti più flessibili, disimpegnati, quasi fulminei, facilmente smontabili e ricomponibili. Più nessuna implicazione con concetti vetusti e polverosi, come responsabilità, sacrificio, impegno, dedizione, rinuncia. Tutti assolutamente inadeguati per fotografare il nuovo panorama di rapporti rigorosamente al presente, senza passato e senza futuro.

Vogliamo davvero questo? Bene, allora dobbiamo dirci con franchezza che anche la nostra società sarà senza passato e senza futuro perché, al di là di quanto proclamato dalle cosiddette “teorie del gender”, non abbiamo inventato ancora nulla che possa sostituirsi al matrimonio e alla famiglia.

Nulla che più efficacemente dell’amore di una donna e di un uomo uniti in matrimonio possa servire, con l’impegno dentro e fuori casa, con l’apertura alla vita e la dedizione educativa, a costruire il domani di tutti. Il Papa ieri ha ricordato che «dobbiamo trovare un soprassalto di simpatia» per l’alleanza matrimoniale, perché solo quell’alleanza è in grado di «porre le nuove generazioni al riparo dalla sfiducia e dell’indifferenza».

Purtroppo, nel loro forsennato lavoro di accetta contro quel che rimane delle tutele a favore della famiglia, i nostri parlamentari non solo non mostrano alcuna «simpatia» familiare, ma non sembrano neppure rendersi conto della realtà. In Italia, ormai, non stanno precipitando solo i numeri dei matrimoni, ma anche quelli delle convivenze, come se tanti dei nostri giovani avvertissero una profonda allergia – o forse solo un drammatico senso di sgomento – nei confronti di ogni impegno affettivo più approfondito di uno scambio di messaggi su “whatsapp”. Una crisi antropologica che deve interrogarci e preoccuparci. Ecco perché rendere scorrevoli i binari in uscita dal matrimonio, non servirà a costruire reti familiari e sociali più salde, mantenute da persone propositive, convinte della necessità di spendere energie, responsabilità e sacrifici nella tenuta della relazione di coppia.

Servono leggi e provvedimenti che sostengano l’impegno della famiglia e che contribuiscano alla crescita di consapevolezza della coppia. E ci ritroviamo, invece, con norme che, favorendo e incentivando il già drammatico senso di precarietà delle relazioni, finiscono per sancire il malcostume dell’instabilità affettiva e del disimpegno familiare. Questo sì – abbiamo il dovere di gridarlo dai tetti – autentico «traguardo di inciviltà».
Luciano Moia

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da Osteria Grande a Madonna del Lato

primo maggio 2015

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PELLEGRINAGGIO ALLA MADONNA DEL LATO

94_bigOggi, terza di Quaresima, nel pomeriggio,faremo il pellegrinaggio tradizionale al Santuario della Madonna del Lato.
PROGRAMMA
Alle ore 14.30: partenza da PALESIO
Durante il cammino reciteremo il S. Rosario.
Al Santuario faremo un momento di preghiera mariana e concluderemo con la processione nel presbiterio per venerare da vicino l’Immagine della Madonna collocata nell’abside della Chiesa.
Alla Casa del Pellegrino sarà attivo un servizio di ristoro con vin brulè, pasticcini…

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SALUTO A DON RACILIO NASCETTI

L’undici marzo si sarebbe celebrato in questa comunità (Casa di riposo del Clero di Bologna) il 103° compleanno di don Racilio. Avremmo fatto festa, modestamente, fraternamente. Il Signore l’ha chiamato a sé in anticipo. Ci consola, anzi ci rallegra, pensare che l’abbia accolto con festa: «Vieni, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco; prendi parte alla gioia del tuo Signore». Era nato a Pizzano di Monterenzio l’11 marzo 1912. Ordinato sacerdote dal Card. Nasalli Rocca, Arcivescovo di Bologna il 16 luglio 1938, fu subito mandato parroco a Vigo. Fu, questo, un atto di coraggiosa fiducia del Card. Nasalli verso un giovanissimo sacerdote, appena uscito dal seminario. Fu un atto di generosa e serena ubbidienza da parte di un giovane prete, pronto ad isolarsi su un cocuzzolo a cavaliere fra le valli del Limentra e del Setta. Ma don Racilio non si isolò. Anzi iniziò a sfruttare i mesi della brutta stagione – i tempi in cui l’isolamento diventa più duro – per una metodica opera di evangelizzazione. Adesso si sarebbe chiamata, con le parole di Papa Francesco, “uscita verso le periferie” (già la ste ssa sede parrocchiale poteva ben dirsi “periferia”); pochi anni fa si sarebbe detta: “portare il Vangelo nelle case”. Comunque don Racilio non attese lanci di programmi pastorali, ma ascoltò la voce della chiamata all’apostolato. E cosi, quando si fermavano i lavori agricoli, la sera, andava sistematicamente nei casolari sparsi a spiegare il Vangelo e a fare catechesi. Fu un lavoro faticoso ma ebbe ottimi risultati. Ravvivò la comunità parrocchiale. Essa poi dimostrò subito stima e simpatia per il giovane parroco, tanto che al primo bambino che portarono al battesimo, i genitori chiesero che fosse dato il nome di Racilio. E da 47 anni anch’egli è sacerdote. Per diciassette anni don Racilio rimase parroco a Vigo. Quando cominciò lo spopolamento della montagna, i Superiori gli affidarono la parrocchia più popolosa di S. Apollinare di Serravalle, sulle dolci colline fra Bologna e Modena. Poi avvenne un altro cambiamento: da ovest verso e st, a Osteria Grande. In tutti questi anni aveva coltivato interesse alla cultura; non solo alla informazione quotidiana, ma alla cultura che si attinge a testi più impegnativi. Aveva messo insieme una biblioteca di tutto rispetto. Quando le forze vennero meno, la lasciò alla parrocchia di Osteria Grande. Egli si ritirò a Castel S. Pietro Terme per svolgere il mini- stero di cappellano presso quell’o- spedale. Infine, ultranovantenne, venne alla Casa del Clero. Era ancora desideroso di imparare e di sapere. Si dedicava alla lettura; silenzioso ma non chiuso, non si imponeva nelle conversazioni, ma vi metteva attenzione, almeno per quel tanto che gli consentiva la progressiva diminuzione dell’udito. Se interpellato, interveniva con per- sonali osservazioni, improntate a saggezza bonaria, spesso arguta, sempre delicata. Regolarissimo nella preghiera comunitaria, viveva come un monaco nella pace e nel silenzio. Nella trasmissione della testimonianza della Risurrezione di Cristo – punto di arrivo di tutto il Vangelo e centro della vita cristiana – don Racilio è stato un anello, umile, ma non per questo meno importante. Il Signore si avvale non solo di energie e forme clamorose che segna- no tempi e luoghi in modo vistoso. Ama anche, o forse più, le vie della preghiera del cuore, i passaggi della semplicità, dell’amicizia gratuita e povera, i messaggi affidati alla divina misericordia. Sono questi i mezzi di apostolato più efficaci, uniti a quello della testimonianza quotidiana di esemplarità di vita. E così che, anche senza grandi paro- le e lunghi cammini, non solo si professa la fede nella risurrezione, ma se ne diventa banditori credibili, ed efficaci per la forza dello Spirito. Don Racilio è stato uno di quei preti che hanno amato essere subito riconosciuti come messaggeri autentici della morte e risurrezione di Cristo, in quanto preti, e assumendo atteggiamenti e contegni ben precisi, univoci, che mettevano subito in chiaro che non è possibile parlare della risurrezione, senza prima passare per l’annuncio della Croce. Sono cari ricordi, questi, ma sono tentativi insufficienti a dire chi è stato don Racilio. Amo pensare a Lui come a uno di quei piccoli cui Gesù Cristo ha davvero rivelato le cose del Regno dei cieli: cose essenziali, indispensabili; cose che con tutto se stesso ha trasmesso, nel nascondimento e nella perseveranza di umili servizi apostolici, contento solo di portare il giogo di Cristo: cioè di esse re collaboratore della sua fatica e del- la gioia di quanti l’accolgono nella fede. Cari Confratelli, benevole Sorelle Ancelle del S. Cuore, alle quali don Racilio, per la tanta dedizione da voi ricevuta, certamente è stato grato, pur nel suo stile di burbero ameno, parenti… non abbiamo per- so un amico. E sempre con noi e per noi. La Diocesi di Bologna, la Chiesa che è nel mondo, non ha perso un operaio, perché proprio ora diventa più efficace quella carità apostolica che lo ha accompagnato e sostenuto nella sua lunga e benemerita esistenza. Di questo siamo certi, mentre continueremo a ricordare don Racilio e a offrire preghiere per la sua pace eterna.

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