Divorzio breve, un incivile traguardo

Davvero un bel «traguardo di civiltà» l’approvazione del divorzio breve. Appena sei mesi per seppellire un matrimonio. Un anno se si decide di ricorrere al giudice, ma è facile immaginare che le separazioni giudiziali saranno sempre meno. Quando si ha l’opportunità di risolvere in tempi così rapidi la propria “storia d’amore” appassita, è inutile perdere tempo con contenziosi patrimoniali. Meglio approfittare senza perdersi in chiacchiere della comoda opportunità offerta dalla legge. Prima si decide, prima ci si toglie il pensiero. In attesa che arrivi il cosiddetto divorzio immediato, di cui a lungo si è discusso sia alla Camera che al Senato, che cancellerà qualsiasi residua lungaggine. Infine, di questo passo, sarà la volta della legge che permetterà l’addio istantaneo via sms incrociato, tutt’al più inviando contestualmente una mail all’ufficio anagrafe. Allora, il «traguardo di civiltà» sul fronte del matrimonio e della famiglia – quello evocato ieri dalla relatrice della legge, Alessandra Morani (Pd) e da non pochi altri parlamentari – sarà davvero raggiunto.

E la strategia illuminata grazie alla quale, in pochi anni, è stato smontato il diritto di famiglia, avrà compiuto la sua parabola.
Certo, a quel punto, si renderà necessaria una verifica degli obiettivi realizzati. Se pensiamo che il matrimonio – e la famiglia che da quel matrimonio sboccia – sia un reperto di archeologia sociale, un istituto ormai inadeguato per regolare il traffico impazzito delle relazioni nella nostra fluttuante, capricciosa e scivolosa postmodernità d’occidente, è giusto provvedere alla sua rapida liquidazione. Non avremo altro da fare che procedere a passi spediti sulla strada intrapresa. Lo Stato, come brillantemente sta facendo, si preoccupi di dare rilievo solo agli “affetti”, prosegua nel ribadire la sua estraneità alle reali dinamiche sociali della vita di coppia e mostri rinnovato disinteresse – come finora ha egregiamente fatto – per quelle che sono in difficoltà. Agevoli il più possibile – e anche in questo caso la rotta è quella “giusta” – l’azzeramento delle coppie che si arrendono di fronte alle difficoltà di una struttura sociale che sembra congegnata apposta per rendere impossibile la vita familiare.

Così, rottamato il matrimonio, avremo un’agile e dinamica società di unioni usa e getta, rapporti più flessibili, disimpegnati, quasi fulminei, facilmente smontabili e ricomponibili. Più nessuna implicazione con concetti vetusti e polverosi, come responsabilità, sacrificio, impegno, dedizione, rinuncia. Tutti assolutamente inadeguati per fotografare il nuovo panorama di rapporti rigorosamente al presente, senza passato e senza futuro.

Vogliamo davvero questo? Bene, allora dobbiamo dirci con franchezza che anche la nostra società sarà senza passato e senza futuro perché, al di là di quanto proclamato dalle cosiddette “teorie del gender”, non abbiamo inventato ancora nulla che possa sostituirsi al matrimonio e alla famiglia.

Nulla che più efficacemente dell’amore di una donna e di un uomo uniti in matrimonio possa servire, con l’impegno dentro e fuori casa, con l’apertura alla vita e la dedizione educativa, a costruire il domani di tutti. Il Papa ieri ha ricordato che «dobbiamo trovare un soprassalto di simpatia» per l’alleanza matrimoniale, perché solo quell’alleanza è in grado di «porre le nuove generazioni al riparo dalla sfiducia e dell’indifferenza».

Purtroppo, nel loro forsennato lavoro di accetta contro quel che rimane delle tutele a favore della famiglia, i nostri parlamentari non solo non mostrano alcuna «simpatia» familiare, ma non sembrano neppure rendersi conto della realtà. In Italia, ormai, non stanno precipitando solo i numeri dei matrimoni, ma anche quelli delle convivenze, come se tanti dei nostri giovani avvertissero una profonda allergia – o forse solo un drammatico senso di sgomento – nei confronti di ogni impegno affettivo più approfondito di uno scambio di messaggi su “whatsapp”. Una crisi antropologica che deve interrogarci e preoccuparci. Ecco perché rendere scorrevoli i binari in uscita dal matrimonio, non servirà a costruire reti familiari e sociali più salde, mantenute da persone propositive, convinte della necessità di spendere energie, responsabilità e sacrifici nella tenuta della relazione di coppia.

Servono leggi e provvedimenti che sostengano l’impegno della famiglia e che contribuiscano alla crescita di consapevolezza della coppia. E ci ritroviamo, invece, con norme che, favorendo e incentivando il già drammatico senso di precarietà delle relazioni, finiscono per sancire il malcostume dell’instabilità affettiva e del disimpegno familiare. Questo sì – abbiamo il dovere di gridarlo dai tetti – autentico «traguardo di inciviltà».
Luciano Moia

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