SALUTO A DON RACILIO NASCETTI

L’undici marzo si sarebbe celebrato in questa comunità (Casa di riposo del Clero di Bologna) il 103° compleanno di don Racilio. Avremmo fatto festa, modestamente, fraternamente. Il Signore l’ha chiamato a sé in anticipo. Ci consola, anzi ci rallegra, pensare che l’abbia accolto con festa: «Vieni, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco; prendi parte alla gioia del tuo Signore». Era nato a Pizzano di Monterenzio l’11 marzo 1912. Ordinato sacerdote dal Card. Nasalli Rocca, Arcivescovo di Bologna il 16 luglio 1938, fu subito mandato parroco a Vigo. Fu, questo, un atto di coraggiosa fiducia del Card. Nasalli verso un giovanissimo sacerdote, appena uscito dal seminario. Fu un atto di generosa e serena ubbidienza da parte di un giovane prete, pronto ad isolarsi su un cocuzzolo a cavaliere fra le valli del Limentra e del Setta. Ma don Racilio non si isolò. Anzi iniziò a sfruttare i mesi della brutta stagione – i tempi in cui l’isolamento diventa più duro – per una metodica opera di evangelizzazione. Adesso si sarebbe chiamata, con le parole di Papa Francesco, “uscita verso le periferie” (già la ste ssa sede parrocchiale poteva ben dirsi “periferia”); pochi anni fa si sarebbe detta: “portare il Vangelo nelle case”. Comunque don Racilio non attese lanci di programmi pastorali, ma ascoltò la voce della chiamata all’apostolato. E cosi, quando si fermavano i lavori agricoli, la sera, andava sistematicamente nei casolari sparsi a spiegare il Vangelo e a fare catechesi. Fu un lavoro faticoso ma ebbe ottimi risultati. Ravvivò la comunità parrocchiale. Essa poi dimostrò subito stima e simpatia per il giovane parroco, tanto che al primo bambino che portarono al battesimo, i genitori chiesero che fosse dato il nome di Racilio. E da 47 anni anch’egli è sacerdote. Per diciassette anni don Racilio rimase parroco a Vigo. Quando cominciò lo spopolamento della montagna, i Superiori gli affidarono la parrocchia più popolosa di S. Apollinare di Serravalle, sulle dolci colline fra Bologna e Modena. Poi avvenne un altro cambiamento: da ovest verso e st, a Osteria Grande. In tutti questi anni aveva coltivato interesse alla cultura; non solo alla informazione quotidiana, ma alla cultura che si attinge a testi più impegnativi. Aveva messo insieme una biblioteca di tutto rispetto. Quando le forze vennero meno, la lasciò alla parrocchia di Osteria Grande. Egli si ritirò a Castel S. Pietro Terme per svolgere il mini- stero di cappellano presso quell’o- spedale. Infine, ultranovantenne, venne alla Casa del Clero. Era ancora desideroso di imparare e di sapere. Si dedicava alla lettura; silenzioso ma non chiuso, non si imponeva nelle conversazioni, ma vi metteva attenzione, almeno per quel tanto che gli consentiva la progressiva diminuzione dell’udito. Se interpellato, interveniva con per- sonali osservazioni, improntate a saggezza bonaria, spesso arguta, sempre delicata. Regolarissimo nella preghiera comunitaria, viveva come un monaco nella pace e nel silenzio. Nella trasmissione della testimonianza della Risurrezione di Cristo – punto di arrivo di tutto il Vangelo e centro della vita cristiana – don Racilio è stato un anello, umile, ma non per questo meno importante. Il Signore si avvale non solo di energie e forme clamorose che segna- no tempi e luoghi in modo vistoso. Ama anche, o forse più, le vie della preghiera del cuore, i passaggi della semplicità, dell’amicizia gratuita e povera, i messaggi affidati alla divina misericordia. Sono questi i mezzi di apostolato più efficaci, uniti a quello della testimonianza quotidiana di esemplarità di vita. E così che, anche senza grandi paro- le e lunghi cammini, non solo si professa la fede nella risurrezione, ma se ne diventa banditori credibili, ed efficaci per la forza dello Spirito. Don Racilio è stato uno di quei preti che hanno amato essere subito riconosciuti come messaggeri autentici della morte e risurrezione di Cristo, in quanto preti, e assumendo atteggiamenti e contegni ben precisi, univoci, che mettevano subito in chiaro che non è possibile parlare della risurrezione, senza prima passare per l’annuncio della Croce. Sono cari ricordi, questi, ma sono tentativi insufficienti a dire chi è stato don Racilio. Amo pensare a Lui come a uno di quei piccoli cui Gesù Cristo ha davvero rivelato le cose del Regno dei cieli: cose essenziali, indispensabili; cose che con tutto se stesso ha trasmesso, nel nascondimento e nella perseveranza di umili servizi apostolici, contento solo di portare il giogo di Cristo: cioè di esse re collaboratore della sua fatica e del- la gioia di quanti l’accolgono nella fede. Cari Confratelli, benevole Sorelle Ancelle del S. Cuore, alle quali don Racilio, per la tanta dedizione da voi ricevuta, certamente è stato grato, pur nel suo stile di burbero ameno, parenti… non abbiamo per- so un amico. E sempre con noi e per noi. La Diocesi di Bologna, la Chiesa che è nel mondo, non ha perso un operaio, perché proprio ora diventa più efficace quella carità apostolica che lo ha accompagnato e sostenuto nella sua lunga e benemerita esistenza. Di questo siamo certi, mentre continueremo a ricordare don Racilio e a offrire preghiere per la sua pace eterna.

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